Nella nostra ultima lezione[1] abbiamo visto il signore di Wartburg chiedere al menestrello di descrivere l'amore. Siccome noi tutti aspiriamo a sviluppare in noi la qualità dell'amore, è senza dubbio molto importante esaminare accuratamente la questione e vedere in quale punto troviamo la maggiore resistenza, perché è innegabile che presso tutti noi, questa specie d'amore difetta terribilmente. Anche se possiamo illuderci, quando sondiamo il nostro cuore ci vergogniamo conoscendo i veri motivi delle azioni che gli altri considerano dettate da sentimenti altruistici. Analizzando questi motivi, scopriremo che sono tutti ispirati da una specie di egocentrismo e, inoltre, che questo è un difetto che non confessiamo mai. Ho udito delle persone confessarsi in pubblico e in privato, elencando tutti i peccati possibili, salvo quello dell'egoismo. Sì, arriviamo fino ad avere l'illusione di non essere egoisti. Per quanto si possa essere poco osservatori, discerniamo nitidamente questo difetto presso gli altri, ma non riusciamo a vedere la trave nel nostro occhio e, fino a quando persisteremo nel non riconoscere questa grande mancanza, sforzandoci seriamente di superarla, non potremo progredire sulla strada dell'amore.
Tommaso da Kempis diceva: "Preferirei sentire la compunzione, piuttosto di saperla definire", e noi potremmo benissimo sostituire la parole compunzione con amore. Se potessimo solo sentire l'amore piuttosto che saperlo definire! Ma non possiamo conoscerlo se non nella misura in cui ci purifichiamo da questo importante peccato di egoismo. La vita è il nostro più prezioso bene, perciò il Cristo ha detto: "Non vi è maggiore amore (o disinteresse) che quello di dare la vita per i propri amici."
Di conseguenza, nella misura in cui coltiveremo questo disinteresse arriveremo all'amore, perché le due parole sono sinonimi, come indica S. Paolo nel suo indimenticabile XIII° capitolo della Prima Lettera ai Corinzi. Quando un povero viandante bussa alla nostra porta, gli daremmo il meno possibile? Se sì, siamo egoisti. Oppure lo aiutiamo solo perché la nostra coscienza non ci permette di scacciarlo? È ancora egoismo, perché non vogliamo sentire il rimorso. Anche se diamo la nostra vita per una causa, non ci rimane l'idea che è una nostra opera? Spesso, quando mi passa per la mente una simile idea riguardo la nostra Associazione, mi assale la vergogna e mi copro il volto…. Evidentemente bisogna che il lavoro sia compiuto, malgrado tutto, ma non lasciamoci ingannare, resistiamo al demonio dell'egoismo, guardandoci senza posa dai suoi sottili attacchi. Se lo sentiamo mormorare che abbiamo bisogno di riposo e che non siamo in grado di prodigarci per gli altri, cerchiamo di forzare la nostra virtù di generosità. Dopo tutto, non abbiamo, in verità, che quello che diamo, perché il nostro corpo si decompone e i nostri beni vengono abbandonati, mentre le nostre buone azioni ci restano per l'eternità.
[1] "I Misteri delle Grandi Opere" - Capitolo XVI
(Max Heindel)